mercoledì 16 maggio 2012

Risposta a Al sulla "narrazione"

 Al, nella sua risposta al post "narrazione", specifica: «Cara Laura, non è la narrazione che ci rende insopportabile la matematica, è un tipo di narrazione particolare» e sottolinea con le parole di Calvino l'importanza della letteralità del racconto, contro una narrazione che esca dai confini che l'autore costruisce con le proprie parole:«Conclude Calvino: "so che ogni interpretazione impoverisce il mito e lo soffoca: coi miti non bisogna avere fretta; è meglio lasciarli depositare nella memoria, fermarsi a meditare su ogni dettaglio, ragionarci sopra senza uscire dal loro linguaggio di immagini. La lezione che possiamo trarre da un mito sta nella letteralità del racconto, non in ciò che vi aggiungiamo noi dal di fuori" 
Le fiabe - aggiunge Al - sembra che ci piacciano per le storie che raccontano per il loro contenuto, ma la riflessione di Calvino ci permette di riconoscere il perché del particolare esclusivo piacere e dell'impressione duratura che ci lasciano. Una persona non sa cosa è la matematica se non ha imparato a fare uno di quei discorsi formali, dove si seguono i rapporti di conseguenza determinati dagli oggetti magici (parole calde?), e non c'è nulla di superfluo, in particolare nessuna interpretazione dei simboli, nessun loro significato inteso (neanche di superficie). Non perché questa sia la parte più importante dell'attività matematica, ma perché è quella che meglio ne descrive la natura.»

Sono d'accordo con Al, la forma diventa sostanza in matematica. Imparare a gestire queste due cose insieme rappresenta uno degli obiettivi alti del mestiere del matematico e ne rappresenta l'essenza.


Sono d'accordo anche con Calvino: alcune letture sono coinvolgenti per il mondo nel quale ti avvolgono, non per i mondi esterni che ti indica. Chi ha tirato su un bambino lo sa: guai cambiare anche un solo un piccolo particolare delle storie che raccontiamo loro, vanno dette e ridette, sempre con le stesse parole, sempre con lo stesso loro piacere a ripercorrerle, a ripassarne gli stessi sentieri. Ogni parola in più, ogni termine tolto o cambiato, proietta altrove, guasta il mito.


Ma per riuscire a far capire cosa intendo quando affermo che "la matematica è difficile perchè non ha narrazione",  bisogna proprio che spieghi in maniera più approfondita cos'è per me il fenomeno della "narrazione".  


Intendo con  "narrazione" il modo in cui il nostro cervello elabora le informazioni che gli arrivano attraverso la parola: non si limita a una interpretazione statica, letterale, dei termini ma ne costruisce un senso aggiunto usando dinamicamente tutte le informazioni che possiede, secondo le regole create implicitamente dalla conversazione. Costruito un quadro sensato (ecco la "narrazione") il pensiero è pronto a muoversi ancora, se arrivano altre informazioni.  Supponiamo per esempio che A e B stiano parlando di un amico comune C, che ora lavora in banca. A chiede come vada il nuovo lavoro di C e B risponde:«Oh, piuttosto bene, mi pare, i colleghi gli piacciono e non è ancora stato arrestato.»  L’informazione contenuta dalla risposta di B consta di due soli elementi: a C piacciono i nuovi colleghi e non è ancora stato arrestato. Formalmente ciò non permette alcuna inferenza. Sempre formalmente “e non è ancora stato arrestato”può essere aggiunto alla fine di qualunque proposizione, senza che ciò permetta alcuna inferenza. Voi che leggete però vi fate una immediata e personale  narrazione sulla situazione, arrivando a conclusioni ben precise. Ecco un altro esempio di "narrazione": nelle frasi seguenti, diverse solo per le aggiunte attraverso la congiunzione "e",  si aprono quadri molto diversi tra loro causate dalle (in linguaggio tecnico) implicature conversazionali

- Maria è tornata da scuola
- Maria è tornata da scuola e non è ancora stato arrestata
- Il neonato è stato allattato
- Il neonato è stato allattato e non è ancora in prigione
- Maria è tornata da scuola e il neonato è stato allattato e non è ancora in prigione.

Per ogni frase la mente corre e disegna un quadro specifico, per ogni frase si costruisce una narrazione efficace.

Questo processo inconsapevole, creato dalle regole del linguaggio, è la molla del pensiero, vivacizza emotivamente la persona che pensa, la stimola, la fa sentire intellettualmente viva.
La matematica, nel processo di apprendimento, fa l'effetto opposto. La mancanza di movimento istintivo, del crearsi di una spontanea "narrazione", dà allo studente la sensazione di avere il pensiero paralizzato, imprigionato, crea angoscia. Una volta uno studente ha sbattuto la penna sul banco, si è preso la testa tra le mani e mi ha detto, tra l'arrabbiato e il preoccupato: "Mi sta venendo un attacco di claustrofobia". Ho capito subito cosa voleva dire e come si sentiva.

La matematica è una lunga e faticosa educazione del linguaggio, dell'immaginazione, dell'emozione, portati attraverso sentieri impervi e innaturali, che conducono  l'uomo lontano dalla semplificazione negativa e spesso crudele che un uso barbaro delle parole può produrre.
Ecco perché è preziosa, ecco perché  è affascinante, ecco perché, da insegnante, la amo. 

Tornata calma mi scuso per l'enfasi e annuncio che, per continuare questi discorsi  insieme a Calvino, la Parola del prossimo post sarà "molteplicità".

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